Sfogliamo il mondo
A seguire, un diluvio di cifre che non dicono nulla di buono. Come il budget del Ministero per i beni e le attività culturali (Mibac) che in dieci anni è calato del 27 per cento, le sponsorizzazioni private crollate dal 2008 a oggi del 42 per cento, la spesa media degli italiani per la "fruizione culturale" di nuovo in picchiata (-11,8 per cento) dopo anni di crescita; del resto, solo il 28 per cento visita almeno un museo all'anno. E poi, puntuali, i paragoni che fanno male: come quei 26,5 milioni di visitatori l'anno collezionati dai cinque principali musei statali di Londra, e che corrispondono al 73 per cento degli ingressi totali nei nostri 420 "istituti nazionali" tra musei, monumenti e aree archeologiche. Tesori spesso nascosti, visto che il 49,7 per cento dei visitatori si concentra su sette "superstar", capitanate dai Musei Vaticani. Già. I turisti amano l'Italia, ma l'Italia fatica a ricambiarli.
«I viaggi culturali puri degli stranieri nel nostro Paese, diciamo quelli a motivazione unica, rappresentano sì e no l'otto per cento sul totale», snocciola Mara Manente, direttrice del CisetCa' Foscari. Il tour individuale domina la scena, solo uno su cinque sale su un pullman Granturismo; qualcosa di più, nelle grandi città. Ma il punto, per il Ciset, è un altro: «Ormai la vacanza monotematica è sempre più rara, ha senso invece parlare di esperienze multiple. Il culturale, ad esempio, si fonde spesso e bene con l'enogastronomia». Fruizione integrata, così la chiamano gli addetti ai lavori: dal borgo-hotel al museo diffuso sino agli archeopark, si va verso un'integrazione tra attrazioni sempre più accentuata. Certo, in Italia è facile, ma non basta un tour de force "alla giapponese" con otto obiettivi da catturare in una giornata, per poter dire di aver ampliato i propri orizzonti. «Noi preferiamo la defnizione di turismo della conoscenza», chiarisce il direttore del Centro studi del Touring Club Italiano, Massimiliano Vavassori. E mette il dito nella piaga: «Sinceramente, non so se riusciremo a interessare i nuovi mercati - i Brics, sempre loro - con quell'offerta classica che è tanto piaciuta agli americani, ai francesi, agli inglesi. Sapremo parlare a popoli che esprimono culture così lontane dalla nostra?».
E noi italiani? Come viaggiamo, dentro e fuori casa? «Siamo ormai da tempo passati dal dove al come», sintetizza il professor Stefano Cammelli. La sua agenzia "Viaggi di cultura" esiste dal 1953 e ha vissuto due vite: «Sino agli inizi degli anni Ottanta, l'obiettivo dei più era quello di andare "dove nessuno era stato prima". Oggi, che tutti vanno dappertutto, la differenza non la fa più "dove" vai, ma "come". Così, scomodando sia Calvino, sia Kundera, parlerei di orizzonti possibili, in contrapposizione a una merce da consumare. Non si tratta di insomma di mettere insieme due o tre monumenti, di viaggiare con la Lonely Planet come fosse un contratto con le voci da spuntare, di inseguire guide cialtrone». All'insegna di una nuova consapevolezza, dove turismo è cultura, e le destinazioni più amate sono quelle che consentono percorsi storici, archeologici, artistici, di esplorazione geografca. Non viaggi per perdersi e staccare la spina, ma al contrario per riannodare fli, recuperare senso e memoria. Un ruolo decisivo diventa allora quello dell'accompagnatore.
«Non è più tempo di tradizionali tour leader, ma di esperti capaci di portare i viaggiatori dentro le pieghe più profonde in cui si manifesta l'anima di un popolo», dicono per esempio a KEL12, tour operator che dal 1978 fa muovere viaggiatori colti e con alta capacità di spesa passando dal Nepal all'Oman, dall'Iran al Giappone, con la particolarità - molto apprezzata e quindi copiata - di organizzare tour specifci in concomitanza a festival e ricorrenze speciali: da Timkat, l'Epifania copta a Lalibela (Etiopia), allo spettacolare Naadam nel deserto dei Gobi (Mongolia). Lusso solo per benestanti? Non necessariamente. Quello che serve, per questo tipo di viaggi, è piuttosto molto tempo libero. Più facile, certo, per chi ha l'età d'argento della pensione. L'obiettivo comunque è quello di "scoprire il mondo con occhi diversi", come recita uno slogan del Fondo per l'Ambiente Italiano, che per i suoi itinerari - dalla Napoli augustea al Perù preincaico - arruola come voci narranti stuoli di architetti, esperti d'arte, storici e archeologi. Ma attenzione a parlare solo di chiese e monumenti: il nuovo mantra è rappresentato dal "viaggio esperienziale", espressione ardita che l'antropologo Duccio Canestrini declina così: «Il senso ultimo è imparare cose nuove, seguire le passioni, aprire nuovi scenari nella propria vita. E ancora, mostrare ai più piccoli alternative e stili di vita diversi, che insegnino loro a relativizzare i valori culturali. E quindi a crescere». E dunque è viaggio culturale un tour in India per accostarsi ai principi della medicina ayurvedica, così come un itinerario guidato dalla lettura di un romanzo o da un flm (il "cineturismo" è una tendenza sempre più robusta), una trasferta in Engadina per esplorare l'architettura tradizionale di montagna o in Senegal per imparare come si suona il tamburo djembé. Ma non è forse culturale anche il turismo "community based", quello cioè in cui non conta tanto la destinazione quanto l'integrazione della struttura ricettiva nel tessuto sociale della comunità?
«Sul mercato nazionale», spiega Massimo Feruzzi di JFC, «le tendenze più rilevanti sono tre: la ricerca di luoghi culturali slow, per scoprire patrimoni minori lontano dalla grande folla dei percorsi tradizionali; l'esplosione del fenomeno dell'arte condivisa; gli eventi a sviluppo urbano, quelli cioè che escono dal chiuso di una location unica per diramarsi nella città in cui si svolgono, in luoghi generalmente non deputati all'arte e alla cultura». In Italia qualcuno, per fortuna, l'ha capito. Per esempio la Regione Umbria, che è partita da un portfolio commissionato al grande fotografo Steve McCurry per costruire attorno alla sua "terra ricca di tempo" un modello di marketing turistico integrato. Che ha comportato, tra le numerose altre iniziative, la creazione di sette itinerari corrispondenti ad altrettanti temi della campagna fotografca di "Sensational Umbria" - questo il nome del progetto - dai borghi storici al paesaggio, dall'artigianato ai sapori, dai festival ai "sentieri dell'anima", sino alle tracce di modernità: perché bisogna sempre guardare avanti, in ogni senso. - Fonte: L'Espresso