Lupi: Se salta Etihad ci rimettiamo la faccia, una settimana per la firma
Ministro, le ultime notizie sull'intricata questione sono l'aumento di capitale varato da Alitalia da una parte, e l'ennesima spaccatura sindacale dall'altra. Dopo sette mesi di passione l'accordo con Etihad si sta di nuovo allontanando?
«Continuo a credere che debba essere fatto e sono convinto che se tutti si assumeranno leproprie responsabilità sarà fatto. Ci stiamo lavorando, appunto, da sette mesi. Etihad non ha dettatoultimatum perché le condizioni stabilite e gli accordi presi sono chiarissimi, non c'è altro da aggiungere ».
Ma ultimatum a parte, quanto può tirare avanti Alitalia in questa situazione? Quanta benzina ha ancora nei serbatoi?
«Ecco, il punto è questo. L'unica prospettiva che abbiamo è racchiusa nel piano che mette incampo, nel suo complesso, un miliardo e duecento milioni di euro necessari a far ripartire non solo lacompagnia, ma il Paese. Perché vorrei essere chiaro: la questione non riguarda ormai solo Alitalia, ma l'Italia intera, la sua credibilità, la sua capacità di attrarre investimenti dall'estero. E' importante firmare entro la fine del mese perché poi ci saranno altri passaggi da compiere: dal via libera Antitrust alla gestione degli esuberi. L'iter è lungo e le perdite di bilancio ci dicono che non c'è più tempo da perdere».
Lei parla di sistema Paese, ma anche ieri i sindacati si sono divisi sulla validità di un referendum interno. La Uil vuole rifarne un altro la prossima settimana, lei che ne pensa?
«Il referendum è valido. Onestamente trovoincomprensibile il dibattito sindacale in corso: fino ad un paio di settimane fa il comportamento delle sigle è stato assolutamente responsabile. Tutte convinte, appunto, che l'alleanza internazionale rappresenti la via d'uscita. Ora invece tutto ruota attorno alla questione della rappresentanza. Tema importante, non c'è dubbio, che merita tutto il rispetto possibile. Ma di rappresentanza si parla, in genere, ai tavoli fissati con l'azienda: qui se salta questa possibilità di accordo l'azienda rischia di non esserci più. Il prossimo referendum potrebbe essere non più sulla rappresentanza, ma sulla messa in liquidazione della compagnia. Mi domando se le sigle sindacali che contestano il risultato del voto hanno capito bene qual è la posta in gioco».
Come la spiegherebbe a Etihad questa diatriba sul doppio referendum?
«Non c'è spiegazione comprensibile, temo. C'è solo un piano: un piano che funziona, tant'è che le altre compagnie ne discutono in termini di concorrenza e ritengono che la nuova Alitalia possa riconquistare nuove quote di mercato. Sul piatto si mette un aumento da 85 a 115 voli intercontinentali da Fiumicino e da 11 a 25 da Malpensa. In cambio si chiede pace sociale, assenza di contenzioso e collaborazione per riportare in pareggio i bilanci dell'azienda. Ai lavoratori vengono chiesti sacrifici è vero, ma ora il loro principale interesse è che Alitalia torni ad essere tra le prime compagnie al mondo, creando così occupazione,e non discutere di rappresentanza».
I nodi che frenano la chiusura l'accordo non sono però solo sindacale: come pensate di convincere le Poste a restare nella partita?
«Poste, anche con il nuovo consiglio di amministrazione, ha chiarito un puntoessenziale: l'investimento in Alitalia non è di salvataggio, ma strategico. La società è disposta ad investire perché crede nel piano che abbiamo costruito. Ora si tratta solo di discutere con gli altri soci italiani sul come arrivare a quel tetto del 51% che deve essere messo in conto ad aziende europee, come la Ue ci chiede. E' di questo che si sta discutendo, non della validità del progetto».
Dovesse non andare in porto l'intesa con Etihad, il governo ha un piano B?
«Non c'è un piano B, qui c'è questo piano A, un piano di salvezza e sviluppo al di fuori del quale c'è solo il baratro». - Fonte: La Repubblica (di Luisa Grion)