«La crescita o è digitale, o non è»
Una convinzione, questa, che Catania mette alla base di quella che sarà la sua attività alla guida di Confindustria digitale alle prese, al momento, con la spinosa questione dell'equo compenso (il quantum che i produttori devono pagare sulla vendita di apparecchi elettronici) sul quale il ministro della Cultura, Dario Franceschini, si sta preparando a intervenire. «Non abbiamo novità in merito, vedremo», taglia corto Catania che comunque del Governo Renzi ha un giudizio positivo: «Mi piace la velocità, l'approccio "quantico", da salto, e la volontà di rimettere in discussione l'esistente, che è del mondo dell'innovazione. Ora valuteremo la fase attuativa, ma siamo sicuri di avere un interlocutore attento». Con il quale, precisa Elio Catania, «ci proponiamo di lavorare assieme per riprogettare insieme la trasformazione di imprese e pubblica amministrazione». Dunque imprese dell'Ict che vogliono essere di più al fianco del Governo. Il tutto partendo dall'idea che «stare ognuno dalla propria parte del tavolo non ha funzionato».
Se questa è la situazione, e se ci sono 25 miliardi di euro annui di investimenti in Ict che mancano all'appello (perché da noi gli investimenti in Ict pesano il 4,8% sul Pil e nella media Ue il 6,5%), allora c'è da affrontare, e con urgenza, la fase operativa. Partendo, spiega Catania, dalla madre di tutte le questioni: l'innovazione nella Pa. Del resto, secondo un recente report messo a punto da Assinform (di cui Elio Catania è stato presidente fino ad aprile) la spesa Ict delle Pa è già oggi superiore ai 5 miliardi annui solo per l'acquisto di beni e servizi, ma si continua a spendere nell'informatizzazione di parti del sistema scollegate tra loro, senza ottenere benefici di efficienza. Da qui le proposte. «Serve una persona politica di riferimento. E questo mi sembra che stia avvenendo con l'attribuzione delle deleghe per l'attuazione dell'Agenda digitale al ministro Marianna Madia». Ma occorrerebbe anche «definire e identificare riferimenti tecnici: un chief technology officer (Cto) con la responsabilità esecutiva tecnica per la realizzazione delle piattaforme strategiche, "trasversali" ai vari enti o ministeri e un Cto per ogni ministero».
Inutile nascondersi però che una revisione dei processi Ict comporta inevitabilmente degli investimenti che stridono con il periodo di austerity e di difficoltà dei conti pubblici. «Il problema è di approccio più che di risorse», replica Catania indicando come soluzione la necessità di «sfruttare meglio i fondi strutturali. Si potrebbe poi pensare a un fondo di seed capital con partecipazione pubblica della Cdp». In generale comunque «è venuto il momento di dare più spazio alle forme di collaborazione fra pubblico e privato: dal "project financing" a forme di "performance contracting", dove il privato affronta l'investimento venendo poi remunerato per un certo numero di anni sulla base dei risparmi ottenuti». L'importante è la comprensione della necessità di intervenire «perché la spesa Ict in Italia è andata calando dall'inizio degli anni Duemila». Proprio insomma quando gli altri hanno iniziato a spingere sull'acceleratore sfruttando le potenzialità dell'economia del web.
Sulla Pa Confindustria digitale è dunque pronta a presentare un documento di proposte, che dovrebbe arrivare all'attenzione del Governo a ridosso dell'appuntamento europeo sull'Ict a Venezia, a luglio. Certo è che non solo dalla Pa si dovrà passare. E la "catechizzazione" delle Pmi sarà uno degli altri compiti che Confindustria digitale si è data. «Del resto - aggiunge Catania - non dimentichiamo l'apporto dell'Ict anche in termini di creazione di nuove forme di lavoro». Su questo fronte il numero uno di Confindustria digitale ricorda numeri che fanno riflettere: «Secondo dati Ue se riusciremo a prendere il passo degli altri Paesi europei in termini di investimenti in Ict avremo la mancanza di 200mila esperti informatici nel 2020 sul totale di un milione in Europa». Anche qui ci sono le proposte. «Pensiamo per esempio a voucher per la formazione. Ma stiamo lavorando con il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, per trovare un modo per allocare presso Pmi molti giovani precedentemente formati proprio dalle nostre imprese». - Fonte: Il Sole 24 Ore (di Andrea Biondi)