Le tre mosse per mettere in vetrina l'Italia del turismo
La frase l'aveva pronunciata Matteo Renzi a Bologna, giusto un mese fa: «Siete una terra unica perché avete capito come il turismo possa diventare un'industria. Dobbiamo copiare questo modello». Non era solo una battuta. Proprio in quei giorni il governo stava cominciando a lavorare a un piano per il rilancio del turismo. Un progetto a più tappe che parte con un numero da cerchiare in rosso. È la classifica dei visitatori stranieri, Paese per Paese: il primato assoluto lo abbiamo perso da tempo e adesso lottiamo per mantenere la quinta posizione. Anzi, lottiamo poco e male, visto che a Natale e Capodanno Pompei ed Ercolano sono chiuse per ferie. Come tirare giù la saracinesca di una gelateria ad agosto. Il risultato? Da quella che dovrebbe essere la nostra prima industria nazionale riusciamo a cavar fuori solo il 10% del Pil, la ricchezza prodotta nel Paese. La Spagna, per dire, che non ha certo la nostra grande bellezza, supera il 15%. Cosa fare? Non c'è solo la cura dell'immagine, che va dall'Expo alla candidatura per l'Olimpiade del 2024, passando per una grande campagna di marketing sul web. Ci sono anche misure più tecniche, proprio per puntare su quella dimensione industriale del settore che oggi fatichiamo a vedere.
Il made in Italy
Una misura allo studio è l'integrazione di tre enti che oggi lavorano su campi diversi: l'Enit, l'agenzia nazionale per il turismo che si occupa della promozione, l'Ice, l'Istituto per il commercio estero, e quella parte di Invitalia, la società del ministero dell'Economia, che si occupa di attrazione degli investimenti. Perché metterli insieme? L'idea è che finora abbiamo considerato il turismo come una questione che riguarda solo i nostri beni culturali. Capitolo fondamentale ma non l'unico: chi decide di venire in Italia lo fa non solo per vedere il Colosseo ma anche per le altre cose che rendono il nostro Paese famoso nel mondo, dal cibo alla moda passando per il design. Legare Enit e Ice significa pensare a un turismo che offra anche itinerari «laterali»: se in Inghilterra vanno di moda i tour per assaggiare le birre prodotte nelle diverse zone del Paese, cosa potremmo fare noi con i nostri vini, con la pasta, con tutta la nostra tradizione alimentare? Chiamare in causa Invitalia, invece, servirebbe a far decollare quegli investimenti necessari per attirare turisti che oggi scelgono altre mete. Anche qui un esempio per capire: una delle voci in crescita a livello mondiale è quella dei tour di più giorni in bicicletta. Oltre a paesaggi e borghi, che abbiamo in abbondanza, per intercettare questa domanda servono però piste ciclabili adeguate. Cosa potrebbero diventare la Toscana o l'Umbria (per non parlare della Sicilia) con una rete fatta per bene?
I nuovi alberghi
Entro la primavera dell'anno prossimo dovrebbe partire un piano per la vendita di immobili pubblici da convertire in hotel. Il valore complessivo dovrebbe superare il miliardo di euro anche se la lista non è ancora definita. È vero, ci abbiamo già provato e con scarsi risultati. Due anni fa, con il progetto «Dimore», l'agenzia del Demanio aveva messo in vendita una serie di immobili con l'obiettivo di creare una rete di resort. Stavolta la lista dei pezzi da mettere sul mercato dovrebbe essere costruita in modo diverso: guardando non solo all'immobile e al suo pregio architettonico, ma anche alle condizioni che ne rendono davvero fattibile la trasformazione. Lusso ma non solo. La speranza è che si faccia avanti qualche grande fondo specializzato in attrazione turistica. E anche qualche imprenditore italiano, visto che oggi grandi catene nazionali non ne abbiamo più.
Annunci sull' Economist
È la scelta che fanno le grandi aziende e le istituzioni internazionali: quando devono trovare la persona giusta per una posizione di vertice mettono un annuncio sull' Economist , il settimanale letto in tutto il mondo, il faro del pensiero liberal. Il governo ha prenotato una pagina per gennaio, probabilmente il 9: lì sarà pubblicato il bando per la selezione internazionale dei direttori dei 20 musei italiani autonomi, come da decreto firmato pochi giorni fa. Un direttore non per forza straniero, ma anche sì. In un anno nei musei italiani entrano 12 milioni di persone. Un terzo di quelle del Regno Unito, la metà di Stati Uniti e Francia. Più che la grande bellezza, la grandissima beffa. - Fonte: Corriere della Sera (di Lorenzo Salvia)