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La Grecia apre musei per salvarsi. L'Italia si sbriciola con Pompei

La Grecia apre musei per salvarsi. L'Italia si sbriciola con Pompei

07 Marzo 2014

Tra i cosiddetti Pigs restiamo noi e la Grecia, ma ad Atene una scelta l'hanno fatta: puntano su turismo e cultura. E noi? Nulla. Il paragone tra quanto fa la Grecia e quello che non facciamo noi è una severissima condanna per Dario Franceschini, smemorato neo ministro ai Beni culturali. La Grecia ha deciso di tenere aperti i suoi musei 7 giorni su sette. Il motivo? Sono convinti che i 18,5 milioni di turisti che quest'anno s'aspettano spenderanno di più se affascinati dalla grecità. Ve lo ricordate John Locke? No, non è il protagonista di un reality. È il padre del liberalismo, ma anche il creatore della pedagogia dei luoghi: quello che raccomandava alle classi colte dell'Europa di fine '600 di fare esperienza diretta della classicità. Ebbe così impulso il Grand Tour che segnò la nascita dell'Italia come primo paese turistico. Ebbene noi abbiamo azzerato tutto. Pompei si sgretola e fa ridere stanziare due milioni di euro per gli interventi urgenti, Volterra cade a pezzi, perfino una vetrata del Duomo di Fi-Renzi è venuta giù.

I nostri musei sono chiusi perché i sindacati si oppongono, non sono attrattivi e non li abbiamo fatti diventare motori di quell'economia dell'immateriale, di quella economia della cultura che è la sola che può contrastare lo strapotere della finanza senza volto che ci affama. Renzi si bea della prossima presidenza del semestre europeo, molti blaterano di Expo 2015 che dovrebbe portare milioni di milioni di turisti. A vedere cosa? Un Paese che si sbriciola, un paese che non ha memoria della sua grandezza, un Paese che continua a dirsi che è il custode del 65% (ma che senso ha?) del patrimonio culturale mondiale e lo abbandona?

Le statistiche sono impietose. Eravamo il primo Paese al mondo per turismo, siamo precipitati al sesto posto. Ancora oggi i turisti desiderano fortemente venire in Italia, ma non lo fanno perché non si fidano. E pensare che il turismo vale da solo il 10% del Pil, se ci attacchiamo l'enogastronomia e la spesa culturale arriviamo a un quarto della nostra ricchezza. Un volano straordinario, un possibile e concreto ausilio contro la disoccupazione, un moltiplicatore di valore. Se facesse il Pompei act (in senso lato) Renzi avrebbe già prodotto buona parte del suo Jobs act ! E invece...

Invece accadrà che dovremo vergognarci al semestre europeo perché l'Unesco sta per cancellare Pompei dalla lista del patrimonio mondiale. Lo prova l'accorato appello di Giovanni Puglisi, presidente della Commissione Nazionale Unesco: «Non c'è più tempo da perdere: serve un piano di interventi straordinario, che metta in sicurezza l'intera area di Pompei dal punto di vista geologico e geo-idrico. Se questi terreni non hanno un drenaggio forte delle acque piovane, Pompei è destinata a crollare per intero». L'evento doloroso è che quel piano esiste. Sono oltre 100 i milioni di euro pronti per essere spesie in parte ce li ha dati l'Europa. Di questi ne sono stati impiegati solo cinque.

Il resto? Non si sa come spenderli, chi deve spenderli e l'Europa li vorrà probabilmente indietro. Tutto questo accade perché la burocrazia, i sindacati, i veti incrociati bloccano tutto. Pompei aspetta da anni il nuovo Sovrintendente. Dovrebbe essere Massimo Ossana, ma la Corte dei Conti non dà il via libera alla nomina. La spending review impedisce di dare incarichi esterni al Ministero, ma nell'attesa Pompei si dissolve! Così a reggere - si fa per dire - le rovine, molto rovinate, di Pompei è il direttore generale per le Antichità, Luigi Malnati, che interrogato sui ritardi degli appalti ha risposto come risponde ogni alto funzionario: «Che volete da me? Io sono provvisorio». Ma nella precarietà più dissoluta si trova Pompei che aspetta da un anno la taske force di cui per ora ci sono solo un direttore generale e un vice direttore vicario che dovrebbero spendere quei famosi 105 milioni cofinanziati dall'Europa, ma non sanno e non possono farlo.

Dario Franceschini - neoministro dei Beni culturali - è rimasto famoso perché quando era ministro Sandro Bondi ai primi crolli di Pompei ne chiese le dimissioni. E lui che fa si accomoda? Ma neanche per sogno. Per ora fa dire che se Pompei viene giù è perché quest'anno ha piovuto troppo. Appunto: piove governo ladro! Ma il punto è ben altro. Abbiamo avuto un formidabile spot con l'Oscar a Paolo Sorrentino, lo avremo probabilmente con l'Expo. La domanda è perché se addirittura la Grecia riesce a capire che la cultura e il turismo sono motori indispensabili per i paesi mediterranei noi non sappiamo far nulla? Perché la burocrazia, le pastoie, i vaniloqui uccidono questa prospettiva e questa speranza? Abbiamo una grande bellezza è vero, ma si stia sbriciola sotto il peso di una politica cialtrona, di una burocrazia sgherra e di una società incolta. Così a quel bar resteremo da soli, senza neppure i soldi per pagare il conto. - Fonte: Libero (di Carlo Cambi)