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Il Grand Tour al capolinea se il turista global guarda ad Oriente

Il Grand Tour al capolinea se il turista global guarda ad Oriente

"Se oggi è lunedì", bisognerà aggiornare lo slogan, "questa deve essere Singapore". E la vecchia Europa finirà per perdere la sua leadership, già abbattuta o minata in tanti campi, anche come prima destinazione turistica del pianeta. Un rapporto della World Tourism Organization (Wto, un'agenzia dell'Onu) fotografa la nuova tendenza. Le presenze di turisti internazionali in Europa sono cresciute del 2,4 per cento tra il 2000 e il 2010. Ma tra il 2015 e il 2025 si prevede che avranno una flessione, aumentando soltanto del 2,1 per cento, mentre nello stesso periodo il turismo nel resto del mondo aumenterà del 3,5 per cento. Questo significa, afferma il documento, che l'Europa è avviata a un "inevitabile declino" come principale area turistica della terra. La stima del Wto è che entro il 2030 il vecchio continente sarà sopravanzato da altre regioni come numero di visitatori, con in testa l'Asia. Per quella data il nord-est asiatico supererà l'Europa meridionale come zona più visitata del globo.

«È il risultato della prodigiosa crescita economica dei paesi emergenti», dice a "Repubblica" Eduardo Santander, presidente della European Travel Commission, alla vigilia del congresso mondiale del turismo che si apre sabato a Londra. «L'Asia in particolare beneficia del miglioramento dei trasporti inter-regionali, del progresso nel campo dei servizi a partire da alberghi e ristorazione, oltre che di tutti i vantaggi portati dalla globalizzazione». In sostanza, i turisti seguono lo sviluppo: se la Cina è diventata la prima superpotenza economica mondiale, è giocoforza che sempre più gente abbia la curiosità di visitarla, e lo stesso vale per le altre nazioni attraversate dal boom, dall'India al Brasile, dalla Russia alla Turchia, dal Messico al Dubai. Arte, gastronomia e shopping non sono esclusive europee: se ne trovano a bizzeffe anche altrove. La novità è che ora è più facile esplorarle, gustarle, acquistarle, in luoghi un tempo considerati esotici, scomodi o pericolosi.

Beninteso, l'Europa non è in procinto di scomparire dalla mappa del turismo planetario. Nel 2013 ha avuto 563 milioni di presenze turistiche internazionali, pari al 52 per cento del mercato globale del turismo. I visitatori le hanno portato guadagni per 368 miliardi di euro. Il futuro turistico del continente, come osserva Santander, «rimane prospero» e continuerà a espandersi: il numero dei turisti, sempre secondo i calcoli del Wto, salirà a 745 milioni nel 2030. Ma rallenterà rispetto alla crescita del passato. Non soltanto per l'ascesa del mondo emergente anche sul versante turistico, ovvero non solo per la crescente concorrenza di altre regioni, ma pure per problemi propri. Una popolazione mediamente più anziana (determinata dal calo demografico), la disoccupazione giovanile, la crisi dell'euro, afferma il rapporto del Wto, pesano sull'immagine turistica dell'Europa. Altri fattori negativi sono la complessità burocratica e gli handicap fiscali e legali, innanzi tutto la difficoltà ad ottenere un visto e l'alta tassazione. Il vecchio continente paga inoltre insufficienti fondi promozionali e un brand poco chiaro, forse in parte il risultato della competizione tra Paesi che si contendono gli stessi turisti, quando si dovrebbe invece puntare su un messaggio comune.

«Promuovere l'Europa come una collezione di destinazioni nazionali individuali appartiene al passato», ammonisce il presidente della European Travel Commission. «Il futuro della promozione turistica è un approccio transnazionale, rafforzando la collaborazione sotto l'ombrello di un unico marchio europeo». Non esiste più il "turista per caso", sostituito dal viaggiatore digitalmente sofisticato dell'era del web, che vuole capire e scegliere ancor prima di partire. A funzionare perciò non è tanto il numero di città e Paesi che un turista può visitare in una vertiginosa settimana di spostamenti, spesso con il risultato di non ricordarsi neanche più dove si trova, come nella succitata battuta del "se oggi è lunedì, questa deve essere Parigi", quanto la quantità e qualità delle esperienze tematiche a disposizione. «Sulla base delle nostre ricerche - indica Santander - ad attirare sono le rotte culturali, i percorsi gastronomici, le vie dello shopping, gli itinerari della salute e del wellbeing, le sfide del turismo sportivo e avventuroso, i pellegrinaggi della fede». Tutti motivi da coordinare da un Paese all'altro, evidenziando contemporaneamente ciò che accomuna l'Europa e quello che la differenzia, tenuto conto che la diversità fra territori anche geograficamente contigui rappresenta buona parte del suo fascino.

Abituati a considerare la propria ricchezza turistica come un dato acquisito, insomma, gli europei si sono un po' seduti sopra l'immenso capitale di tesori artistici, culturali e gastronomici che la storia ha loro fornito. La conseguenza è che talvolta il visitatore incappa in alberghi scadenti, ristoranti trappola e musei antiquati rispetto alle esigenze del moderno viaggiatore. Mentre il turismo è un grande business e andrebbe curato come tale: in Europa costituisce il 9 per cento del pil e il 10 per cento della forza lavoro, un'impresa su 7 (al di fuori del settore finanziario) è collegata al turismo per un totale di 3 milioni e mezzo di aziende e oltre 15 milioni di dipendenti, pari al 29 per cento dell'industria dei servizi. «Non abbiamo alcuna intenzione di arrenderci», avverte il presidente dell'Etc Santander, citando un nuovo sito pan-europeo, www.VisitEurope.com, come uno dei mezzi per rilanciare il brand del vecchio continente nel match contro l'Asia e i nuovi mercati emergenti. Se non abbiamo ancora fatto l'Europa politica, è il suo messaggio, sbrighiamoci a fare almeno l'Europa del turismo. - Fonte: La Repubblica (di Enrico Franceschini)