Il forum del turismo? Un occasione mancata
Da oltre 10 anni, e ancor di più dopo l'inserimento nei Trattati europei delle competenze in materia di turismo, il Forum rappresenta non solo un momento di incontro al più alto livello istituzionale, ma soprattutto l'occasione per uno scambio di esperienze e di proposte tra i partner dell'Unione. L'evoluzione delle politiche d'interesse dell'industria del turismo avrebbero dovuto spingere l'Italia, Paese ospitante, a mobilitare più e meglio l'Amministrazione pubblica (proprio a partire dal Ministero competente) con proposte innovative, chiamando a raccolta tutte le sensibilità e le intelligenze disponibili. In tale quadro, il sistema confindustriale, in particolare il presidente di Federturismo Renzo Iorio, si è speso per caratterizzare positivamente questa iniziativa del Semestre italiano, sollecitando al contempo un significativo cambio di passo degli apparati burocratici e politici.
Dobbiamo esser chiari: i risultati di Napoli non sono stati soddisfacenti, almeno per quanto riguarda l'Italia. Certo, abbiamo colto alcuni segnali di una attenzione maggiore e crescente per la promozione dell'Europa come destinazione, con la partecipazione ai lavori di un discreto numero di ministri del turismo dei Paesi membri, oltre ai portatori d'interesse dell'industria turistica e delle comunità coinvolte. Ma è mancato l'apporto concreto del nostro Paese, paradossalmente enfatizzato dalla scelta del ministro Franceschini di fare solo una fugace apparizione con il suo capo di Gabinetto e il segretario generale del MiBACT. Abbiamo notato anche l'assenza di regia, la carenza di indicazioni strategiche nell'individuazione di obiettivi chiari, sia per i beni culturali, quale asset per il rilancio del turismo italiano, sia per la promozione dell'Italia come destinazione.
Il ministero avrebbe dovuto riempire di contenuti concreti il Forum, che poteva trasformarsi (e così non è stato) in un reale momento di svolta. Purtroppo, si è persa l'occasione per dire parole chiare sugli strumenti e sulle scelte politiche necessarie al settore. È nota e riconosciuta la reputazione internazionale degli specialisti italiani della tutela, della conservazione e del restauro dei beni culturali, ma non si può pretendere dalle stesse persone competenze in materia di valorizzazione a fini economico-produttivi dei beni culturali e di promozione del turismo culturale. Servono dunque professionalità specifiche e innovative, opportunamente indirizzate con strategie e Obiettivi-Paese. E non è credibile che, in assenza di regole e di fiducia nel loro ruolo specifico, le imprese dell'industria del turismo possano operare utilmente e dare il loro contributo alla valorizzazione economica di alcuni beni culturali e alla promozione e alla crescita del Paese Italia.
È mancato finora il coraggio di dare fiducia a un sistema d'imprese che la meritano e anche la consapevolezza che promozione turistica del Paese non può essere affidata solo al segmento culturale ma significa anche motivare tutte le altre componenti della filiera dell'industria turistica (tradizionali ed emergenti), affiancando all'offerta balneare e montana quella diportistica, enogastronomica, del benessere termale, del cicloturismo ecc., tenendo conto delle loro specificità, delle loro esigenze, delle loro concrete potenzialità. A Napoli sono cresciuti i dubbi di quanti considerano il matrimonio del MiBACT, tra beni culturali e turismo, un'unione mal assortita, dove gli sposi non vogliono conoscersi, parlano linguaggi diversi, già pensano ad altro, per cui si ripropone, con forza, il tema se non sia più logico ed efficace che il turismo, in assenza di un ministero ad hoc, torni, magari con un vice ministro, nella "casa" delle imprese e dello sviluppo e cioè al Ministero dello Sviluppo Economico. - Fonte: Il Sole 24 Ore (di Costanzo Jannotti Pecci)