II Belpaese piace meno agli stranieri
Stando ai dati diffusi dal World economie forum, l'Organizzazione mondiale del turismo, nell'immediato dopoguerra viaggiavano 25 milioni di persone in tutto il mondo e cinque di queste venivano in Italia, attratti dalla sua bellezza; da allora la nostra quota si è ridotta di decennio in decennio, dal 19% del 1950 al 15,9% del 1960, per poi al 7,7% nel 1970 (quando eravamo comunque i primi davanti a Canada, Francia, Spagna e Stati Uniti), fino al 6,1% del 1990, al 4,6% del 2010 e infine al 4,4% di oggi; nel 2013 l'Italia è risultata quinta per arrivi internazionali e sesta per introiti valutari. Altri numeri illustrano il triste fenomeno di perdita di competitività, che con le nostre potenzialità appare un'autentica sconfitta: dal 1950 a oggi i turisti che vengono in Italia si sono moltiplicati per 10, da 4,8 a 47,8 milioni. Ma il popolo dei turisti nel mondo, grazie all'impetuoso arricchimento della Cina, della Corea e altri Paesi asiatici, si è moltiplicato per 43 volte. L'Italia, quindi, è riuscita in minima parte a cavalcare questo straordinario sviluppo.
Torniamo alla stagione attuale, e alle previsioni comparate. L'Italia nel 2013 è cresciuta del 2,2%, quando la maggior parte dei Paesi europei ha registrato trend superiori: Grecia +5,3%, Portogallo +5,1%, Francia +4,5%. Quest'anno - sempre secondo il Wef - l'incoming dell'Italia (cioè gli arrivi dall'estero), crescerà del 3,1%: più dello scorso anno, ma sempre meno rispetto alle destinazioni concorrenti. In altre parole, stiamo ulteriormente perdendo quota. I primi clienti dell'Italia restano comunque gli italiani, che non sono considerati nei dati del Wef. Ma anche qui le cose non vanno bene: le famiglie soffrono per le difficoltà economiche provocate dalla crisi. Samantha Williams, direttore commerciale di Violet Management, una delle più importanti società italiane di consulenza alberghiera, di cui è presidente Guido Bernardi, dipinge un quadro preoccupante. «Gli italiani vanno sempre meno in vacanza, se lo fanno è vicino alla propria città, e sempre di più in case di amici o parenti, ostelli, agriturismi».
Salvadanaio per le ferie sempre più leggero
L'obiettivo è ridurre le spese. Il budget medio stanziato dagli italiani per le vacanze è di 1.761 euro (dati Coldiretti-Ipr Marketing) stabile rispetto al passato ma molto al disotto della media europea che è di 2.242 euro. Evidente che l'obiettivo è risparmiare per non dover rinunciare. Solo il 6% delle famiglie, secondo la ricerca, spende più di 2mila euro. Così l'erosione è anche qualitativa: si abbassa il livello delle strutture dove passare le vacanze, si accorcia il periodo, si preferiscono alloggi in affitto o formule di agriturismo.
L'indagine di Coldiretti fa emergere ulteriori orientamenti di scelta, che denotano la massima prudenza economica: gli italiani che trascorrono le vacanze in Italia sono sette su dieci, ovvero il 70%, e di questi ben il 24% non si allontana dalla propria regione. Le mete sono prevalentemente balneari, seguite dalle città d'arte; la Sicilia è in vetta a tutte le classifiche. «Con la crisi - commenta l'associazione - si affermano quest'anno le vacanze a chilometro zero per le 16 milioni di famiglie che possono concedersi almeno un giorno di vacanza fuori casa. Tra chi lascia i confini nazionali appena il 4% ha scelto lontane mete extracomunitarie». Tornando all'andamento del turismo internazionale, è importante ricordare che nel 2013 l'incremento è stato del 5% sull'anno precedente e che il totale dei viaggiatori è stato di 1,087 miliardi.
Mancano cultura dell'ospitalità...
Ma se la platea è immensa e la domanda colossale, allora è legittimo perché l'Italia perda costantemente terreno. La risposta la affidiamo a uno studio del Touring: «II comparto si avvale da anni di rendite di posizione ancorate al grande 'turisdotto' delle città d'arte e delle aree costiere, ma c'è sempre una cronica assenza di strategie. Il turismo in Italia non è mai stato e non è tuttora un'opzione di sviluppo economico presa seriamente in considerazione dalla politica».
Tutta colpa del Palazzo? No: il dossier denuncia la grande mancanza di cultura dell'ospitalità. Troppi bidoni ai turisti, troppi disservizi, troppa scortesia verso gli ospiti. Come se tutto ci fosse dovuto in quanto "Paese più bello del mondo". Ciò è ancora più avvertibile nei luoghi unici, come Venezia, dove qualunque operatore della filiera turistica sente di godere di una specie di monopolio assoluto, perché un'altra Venezia nel mondo non c'è, la gente vuole a tutti i costi visitarla, e quindi può anche essere trattata male. Secondo le stime del World travel & turism council: «II volume dell'industria turistica in Italia, restando nell'ambito delle attività di base, è stato di 63,9 miliardi di euro, pari al 4% del Pii nazionale». Una quota bassissima. Calcolando l'intera filiera - come ha fatto Gian Antonio Stella sul Corriere: da chi fornisce i croissant agli alberghi a chi fabbrica le giacche per i camerieri - il numero sale fino a 161 miliardi, che corrispondono al 10,2% del Pii. Quanti governi pasticcioni si erano dati come obbiettivo il 20%?
...e strategia politica
Se è vero che il nostro Paese offre uno dei patrimoni artistici e naturali più ricchi al mondo (dire che siamo i primi è autoreferenziale e stucchevole), i punti di debolezza della nostra industria turistica sono tanti: tra questi merita di essere segnalata la frammentazione delle strutture ricettive: su 35mila alberghi presenti in Italia solo poche centinaia fanno parte di catene alberghiere di qualche peso. Il che significa poca forza commerciale, carenti politiche di marketing, scarsi investimenti poca professionalità. «Se a ciò aggiungiamo», dice Guido Bernardi, presidente di Violet, «le scarse infrastrutture, l'alto costo e la scarsa flessibilità del lavoro, la carenza di una politica promozionale del Paese, l'assenza o quasi di incentivi fiscali, la scarsa considerazione di cui il turismo gode a livello governativo, il quadro è fatto». - Fonte: Espansione (di Paolo Stefanato)