Enit, che lusso le sette sedi estere
A metà giugno il governo ha commissariato l ente e nel frattempo è intervenuta pure la magistratura con un' inchiesta che riguarda il direttore Andrea Babbi e l'ex presidente Pier Luigi Celli. I magistrati ritengono in contrasto con la legge sulla spending review la nomina di Babbi (180 mila euro l'anno di stipendio), ex capo dell azienda di promozione turistica dell'Emilia, voluto dall allora ministro bolognese Piero Gnudi (governo Monti) e sponsorizzato in stile bipartisan dall'ex presidente di quella Regione, il piddino Vasco Errani, e dall'attuale ministro dei Trasporti, il ciellino Maurizio Lupi.
L accusa è grave, ma sembra nulla rispetto a ciò che succede all Enit. Mentre negli altri uffici pubblici e statali almeno provano a tirare la cinghia, qui hanno continuato a spendere e spandere come se la crisi non li riguardasse. Solo per pagare indennità e retribuzioni a tre nuovi direttori di sedi estere hanno speso circa 500 mila euro in più in un solo anno, soldi che in un bilancio come quello Enit di nemmeno 30 milioni di euro non sono uno scherzo. "Ho cercato di razionalizzare gli uffici esteri", si difende il direttore Babbi, "dove è stato possibile sono stati accorpati a quelli Ice, alle ambasciate o ai consolati".
Di fatto, però, tre sedi costose come quelle di Tokyo, Mosca e Francoforte, ridimensionate in passato da altri amministratori dell ente in un fugace momento di lucidità e di buon senso perché ritenute troppo dispendiose, sono state completamente riattivate con l invio da Roma di tre nuovi responsabili. E i quattrini che nel frattempo erano stati risparmiati, circa 5 milioni di euro in totale, se ne sono andati quasi tutti (3 milioni e mezzo) come buttati dalla finestra per una campagna di promozione turistica scialba, giudicata dagli esperti un fiasco in piena regola. Sia perché lanciata in un momento sbagliato, a marzo, quando i giochi a livello di concorrenza internazionale erano ormai belli e impacchettati. Sia perché quella promozione si è trasformata in un'arlecchinata in cui hanno infilato in maniera improvvida lo zampino le regioni interessate a promuovere non tanto l'immagine dell'Italia turistica nel suo insieme, ma i loro pezzettini di mare o di montagna che all'estero faticano perfino a individuare come italiani.
Le sedi Enit nel mondo sono da sempre il vero oggetto del desiderio per chi lavora in quell ente: chi riesce a metterci piede è come avesse vinto un terno al lotto perché lo ricoprono d'oro e tra indennità e ammennicoli vari a fine mese gli versano in banca anche tre, quattro, cinque volte più di quanto guadagna un dirigente confinato a Roma. Al momento le rappresentanze dirigenziali estere dell Enit sono sette: New York, Mosca, Tokyo, Pechino, Parigi, Londra e Francoforte. Più un altra quindicina di uffici più leggeri che nel gergo un po iniziatico degli addetti ai lavori chiamano le "antenne". Il più pagato è il direttore di Tokyo: 16 mila 200 euro netti rimpolpati con altri 2 mila dello "stipendio metropolitano", altro benefit riconosciuto ai dirigenti esteri. Il capo di New York riceve un trattamento quasi identico, quello di San Paolo sfiora i 18 mila euro con la "metropolitana", quello di Mosca si ferma (si fa per dire) a un soffio da 16 mila euro, Pechino 14 mila circa, Parigi 13 mila, Francoforte 11 mila. Quando gli uffici di Tokyo, Mosca e Francoforte furono ridimensionati e i responsabili richiamati in Italia, quelle sedi furono tranquillamente guidate da Roma da tre dirigenti pagati 10 volte di meno. - Fonte: Il Fatto Quotidiano (di Daniele Martini)