Alitalia-Etihad, bene l ok di Bruxelles ma la strada è ancora in salita
Non c'è dubbio che il turnaround di Alitalia - nei fatti fallita per la seconda volta dopo il primo knockout del 2008 - non si presenta a prima vista particolarmente agevole, nemmeno con il sostegno del nuovo e potente azionista mediorientale. Il mercato italiano ha visto la progressiva uscita di molti player nazionali, sostituiti dagli operatori low-cost esteri, ormai attivi su 20 dei 37 scali identificati come rilevanti dal recente Piano Aeroportuale Nazionale. Questi attori agiscono in forze sul mercato domestico e sulle connessioni intra-europee, con la prospettiva di una concorrenza emergente anche sulle connessioni a lungo raggio. E hanno inoltre ricevuto un «tappeto rosso» nei nostri scali regionali, dove hanno supplito a un'assenza d'imprenditorialità di Alitalia e assicurato uno sviluppo delle connessioni dirette solo qualche anno fa inimmaginabile.
A fronte di ciò, il trinceramento di Alitalia sugli scali di Fiumicino e Linate appare comprensibile ma pur sempre discutibile in chiave strategica, così come l'abbandono del progetto di «marchio da battaglia» Air One, ucciso da un format curiosamente low-fare ma dagli alti costi. Senza dimenticare poi che i maggiori volumi di traffico da e per il nostro Paese sono generati proprio sul versante del breve e medio raggio, mentre la componente di lungo raggio è strutturalmente più sottile e con caratteristiche di accentuata stagionalità. La risposta più facile potrebbe essere legata a uno sviluppo della partnership con Air Berlin. L'ipotesi più estrema di una fusione con Alitalia non sembrerebbe utopia nel medio termine. Anche sul versante del lungo raggio le sfide manageriali sono multipolari. La crisi economica che attanaglia l'Italia ha agito sulle spese di viaggio delle imprese, producendo uno schiacciamento del valore per la componente d'affari verso la più bassa tariffazione «best buy».
In questo senso è chiaro come lo sviluppo di un'aerolinea «sexy», così come vuole Etihad, a cui necessariamente abbinare una componente di servizio premium, non possa guardare al mercato interno italiano, bensì focalizzarsi in modo primario sui flussi in arrivo dall'estero: peraltro un obiettivo positivo se viene visto nell'ottica dello sviluppo del sistema turistico nazionale e di Expo 2015. Oggi gli ingressi nel nostro Paese producono uno yield medio di rotta pari a circa un quinto della media del mercato tedesco, sono di marcata connotazione turistico/religiosa con una più bassa componente d'affari, peraltro intercettata da vettori terzi in misura maggiore rispetto ad Alitalia, grazie a consolidati sistemi di alleanza e di jv in essere. Per conquistare la domanda premium estera sarà necessario ricostituire il disegno e la capillarità della rete di vendita all'estero che, proprio sotto Alitalia Cai, era stata smantellata. La crescita del network a lungo raggio richiederà almeno un triennio per produrre risultati.
Chi scrive ritiene più realistico nel breve termine puntare su una crescita del traffico Italia-Abu Dhabi, che produrrebbe un immediato ritorno per l'investitore. Resta infine da chiedersi come risponderà l'eterno rivale Emirates: un primo segnale arriva dall'inserimento dell'A380 su Milano a partire da dicembre per Dubai (e in prospettiva su New York?), ma a parere di chi scrive è lecito aspettarsi ben altre e più invasive azioni sul fronte anche di nuovi servizi a lungo raggio. Il cielo è il limite e certamente gli altri player non lasceranno campo facile alla nuova Alitalia-Etihad, dato che in gioco non c'è solo il mercato Italia quanto, in chiave più allargata, la tenuta e il successo del nuovo modello di alleanza azionaria impostato da Etihad al di fuori delle regole e degli assetti finora governati dai vettori basati in Europa e negli Usa. - Fonte: Milano Finanza (di David Jarach, docente di Marketing del trasporto aereo, Sda Bocconi Milano)